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NAPOLEONE E IL RISORGIMENTO ITALIANO di Marcello Camici :




«L'Europa sarebbe diventata di fatto un popolo solo; viaggiando ognuno si sarebbe sentito nella patria comune… Tale unione dovrà venire un giorno o l'altro per forza di eventi.


 

L'ALTRA RIVA DEL MARE di Danilo Alessi:






In quest ’ultimo lavoro di Danilo Alessi uscito per i tipi di Persephone Edizioni, un uomo e una donna, si incontrano e si innamorano, vivendo contemporaneamente altri luoghi e le sponde di molti mari mentre, un recente passato, irrompe dalle pagine “intime” ma “collettive” di “L’altra riva del mare”


 

IL GUARDIACACCIA DI Marcello Meneghin:




Il romanzo di Marcello Meneghin è un intreccio di storie vere e di invenzione o meglio di supposizioni. È la ricerca del nome di un assassino. Un intreccio immaginario che si sposa bene con la magia delle montagne.


 

L'ELBA UNA COLONIA :




L'opuscolo "L'ELBA UNA COLONIA" contiene "L'INTERVISTA A MR. X " E " IL PIANO" dove viene analizzata una situzione che mirava a realizzare un piano di colonizazione che avrebbe smantellato e portato, oltre canale, tutti centri direzionali dall'ufficio turistico APT, ai servizi idrici e alla Sanità ecc E anche come gli elbani sarebbero stati sistematicamente esclusi da ogni incarico direttivo. Visto che tutto si è relizzato come previsto, questa pubblicazione ha avuto un valore profetico.

L'OPUSCOLO PUO' ESSERE INTERAMENTE SCARICATO


 

MAGO CHIO' Vita e leggenda del Primo free - climber del Mondo di Giuliano Giuliani:




Mago Chiò era vissuto nella seconda metà dell’Ottocento. Nato a Portoferraio nell’Isola d’Elba qualche anno dopo l’Unita d’Italia in una delle vie più antiche della vecchia Cosmopoli ( nome che fu affibbiato alla città nei primi tempi della sua costruzione


 

Giuliano Giuliani "AFFANDAMENTO DELL'ANDREA SGARALLINO" :




la ricostruzione attraerso la voce dei protagonisti della più grande tragedia che abbia colpito una nave civile nel mediterraneo durante nell'ultimo comflitto mondiale


 

“Passioni”, romanzo di Maria Gisella Catuogno:




“Passioni”, romanzo di Maria Gisella Catuogno che l’Editore il, Foglio Letterario di Piombino, ha portato alla Fiera del Libro di Torino.


 

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Questo libro è per la verità e la giustizia!

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. la partita a scacchi della politica, dall'elba alla toscana
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IL FANTASTICO VIAGGIO DEL COMANDANTE GRASSI:




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Nuovo libro di Marcello Camici:




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IL NUOVO LIBRO DI LEONIDA FORESI:




UNA PARTE IMPORTANTE DELLA NOSTRA MEMORIA


 

IL BASSO FUOCO ELBANO di Gino Brambilla

pubblicato venerdì 4 gennaio 2019 alle ore 10:33:41


IL BASSO  FUOCO ELBANO    di Gino Brambilla

 



 



Pubblichiamo Ia relazione che Gino Brambilla, ispettore  onorario  delle  Belle Arti, lesse   al Convegno Internazionale   di Storia  Etrusca  che si  tenne all’Università  di  Barcellona nel 1993  e  che  fu' pubblicata quello stesso anno, su        COSMOPOLI, un mensile  edito da  Cosmoradio di  cui  Gino Brambilla  era  socio fondatore.



Gino era, per i suoi studi sul periodo etrusco, era  in contatto con diverse  università  europee che  tenevano  molto  in considerazione  il suo lavoro. Che invece era quasi   ignorato  delle  istituzioni locali. Mai lo aiutarono  nelle spese,  che  come  studioso  e  ricercatore,   doveva  affrontare. Questo   suo viaggio a Barcellona  ad  un convegno cosi prestigioso  che gli  permise di confrontarsi, con  i maggiori studiosi di storia etrusca  europei, gli   fu  possibile  perché le spese  furono pagate  da  un suo amico.



A.Ghini



 



 



IL BASSO  FUOCO  ELBANO



 di  Gino Brambilla



 



Introduzione



Alla fine del 1° sec. a.C., cento anni dopo la conquista dell’isola da parte  dei Romani, gli Etruschi ,cessarono,all’Elba, il procedimento di riduzione dell’ematite (Fe 2  03) per ottenere il ferro.



Sino ad ora non era stata eseguita nessuna campagna di scavo nei luoghi di lavorazione del minerale, con lo scopo di determinare i periodi e le tecniche usate. I dati qui pubblicati, si basano su ritrovamenti occasionali inseguito a lavori agricoli o a sbancamenti eseguiti da ruspe a scopo edilizio.



 I ritrovamenti di siti, dove veniva operata la riduzione  del minerale , per avere ferro che hanno  restituito abbondante materiale ceramico, permesso di avere conoscenza dei periodi.



Tutti i depositi di scorie scartate nel periodo Etrusco, per il loro alto contenuto di ferro, vennero all’inizio di questo secolo, rifuse negli stabilimenti dell’Ilva, per ricavarne ghisa. Purtroppo, forni ed antiche strutture delle officine etrusche, andarono distrutte. Sappiano della loro esistenza da ricordi di contadini e da manoscritti medioevali che ce ne parlano, indicandone anche la posizione: alla Casaccia di Portoferraio, all’Aia Marina di Campo, a Val di Denari,a Le Tre Acque e inoltre a S. Andrea,Acquaviva, Reale, e nei dintorni delle miniere di ferro. Gli Etruschi operavano la riduzione dell’ematite e la lavorazione del  ferro in prossimità del mare, dove vi erano golfi o spiagge accessibili alle loro imbarcazioni. Queste scaricavano  il minerale della vena di Rio e vettovaglie, e caricavano il ferro prodotto dalla riduzione dell’ematite che veniva commercializzato grezzo o lavorato. La riduzione dell’ematite elbana fu ripresa circa un millennio dopo, sotto il dominio della Repubblica Marinara di Pisa. Non sappiamo però se, alla ripresa delle riduzioni, i forni usati per queste operazioni, fossero uguali a quelli Etruschi, sapendo che ve ne erano molti sparsi per l’lsola. Sappiamo però che, nel XIV e XV secolo, sull’Isola si usava, per la riduzione, un tipo di forno che ho definite“BASSO FUOCO ELBANO”. Mentre gli Etruschi procedevano in maniera industriale, nel moderno senso della parola. Nelle Officine vicino al mare, nel tardo medioevo, le operazioni per ricavare il ferro dal minerale, avvenivano nei boschi e con sistemi meno evoluti. Dai rinvenimenti dei siti tardo medioevali, si e visto che gli ammassi di scorie, se confrontati con quelle etrusche, erano molto esigue.E questo per il fatto che non si trattava di una lavorazione industriale, ma di singoli fabbri che si il ferro per conto loro.



 



Il “Basso fuoco di S. Bartolomeo”.



 



 





 



Nel quinto secolo avanti Cristo, gli Etruschi avevano una fortezza di  avvistamento che dal Colle di S.Bartolomeo, una località ad una altezza di 420 metri sul mare, in prossimità del paese costiero di Chiessi, da dove controllavano il canale di Corsica. Questa roccaforte fu distrutta nel 453 a.c. dai Siracusani guidati da Apelle. Ricostruita, venne definitivamente distrutta attorno al 23 a.c. dai Romani.



Nel Xll secolo della nostra era,durante il dominio pisano, furono costruite sopra le rovine etrusche, alcune abitazioni e la chiesa di S. Bartolomeo.Oggi, tra le molte interessanti caratteristiche del luogo, vi sono i resti di un forno per la riduzione dell’ematite, per ottenere il ferro usato durante il periodo pisano.



 



Il forno aveva una struttura particolare: tre grossi massi di granito disposti a semicerchio, costituivano gran parte del suo perimetro. A completare il cerchio, erano posti una fila di blocchetti di granito che gli davano una forma cilindrica. Le pietre, appoggiavano su un piano di argilla ed erano disposte in modo,da lasciare degli spazi vuoti da dove,quando il forno era in funzione, sarebbero fuoriuscite le scorie.



Sopra a questa prima fila di pietra,altre file impastate con argilla sino aduna altezza di un metro e venti centimetri, completavano il forno. Vicino ad uno dei massi, a circa 45 cm. di altezza, vi era un foro di circa



25 cm. di diametro che serviva ad alloggiare un tubo di argilla refrattaria, che aveva la funzione di convogliare all’interno del foro, l’aria di due mantici.



 Funzionamento della fornace.



 Si iniziava la riduzione gettando all’interno del foro 5 Kg. di carbone di legna già acceso. Nello stesso tempo,venivano messi in funzione i due mantici. Sopra al carbone venivano gettate alcune manciate di ematite rotta in piccoli pezzetti. Una volta arroventati,quando cioè non vi era più pericolo che il forno si spegnesse, veniva riempito di carbone fino alla bocca. Quando la carica di carbone bruciando si abbassava a circa la meta del forno, si incominciava a gettare all’interno una carica di 10 Kg. di minerale di ematite, sempre frantumato in piccoli pezzetti, e si aggiungeva una carica di legna anch’essa ridotta in piccoli pezzi. Questa operazione si ripeteva ogni mezzora.



La riduzione del minerale come l’ ematite per ricavare ferro, durava da l0 a 12 ore. Vi erano quattro addetti per ogni forno: due addetti ai mantici e due alla frammentazione del minerale e del carbone da introdurre nel forno. Al gruppo veniva dato il cambio ogni sei ore di lavoro.  Dopo circa due ore da quando il forno funzionava a pieno regime, incominciava la fuoriuscita delle scorie attraverso i fori lasciati tra i blocchetti di granito della prima fila. Intanto, all’interno del forno dove il tubo refrattario scaricava l’aria dei mantici, si raggiungevano i 1.300 gradi: il cosiddetto “Colore Bianco”. 'E a questo punto che si riuniscono le particelle di ferro che, elettrizzate dal calore, si attirano tra loro e si saldano assieme formando la cosiddetta “Spugna di ferro” che é il prodotto della riduzione.



  Alla fine del processo, il muretto del forno viene abbattuto, il blocco di spugna di ferro estratto e rotto in cinque o sei pezzi che messi su una forgia provvista di mantice riportati ai 1.300 gradi e quindi a martellate con un mazzuolo di legno vengono espulse tutte le impurità: carbone, resto di forno, scorie ecc... Dopo sette o otto operazioni di questo genere il pezzo di ferro che ne esce e pronto per essere battuto con un martello di ferro.



La spugna di ferro appena estratta dal forno, contiene dieci quindici per cento di impurità e circa 85% di ferro. Ma il dato più importante é lo 0,06% di carbonio. La spugna di ferro si arricchisce di un altro 0,06% di carbonio, ogni volta che su una forgia viene portato al“Color bianco” (l .300°) Un dato importante del



“Basso fuoco elbano” di S. Bartolomeo é quello accertato anche in altri siti di riduzione dell’Elba: l’uso di fondente in queste operazioni. Fondente che altro non era, che la scoria di precedenti riduzioni. Queste scorie aggiunte al minerale aiutavano, specialmente le ultime cariche di minerale, a far si che le ’particelle di ferro potessero raggiungere il punto del “colore bianco” e formare il prodotto desiderato.  La carbonaia per produrre il carbone dei fabbri. Il miglior carbone usato per le forge era chiamato all’Isola, carbone dei fabbri. I ciocchi di erica arborea oggi comunemente usati per produrre pipe,ricavati dal taglio della macchia mediterranea, venivano raccolti e messi da parte per ottenere il carbone attraverso un procedimento particolare. L’operazione aveva luogo in uno speciale forno costituito da una buca fatta in un terreno argilloso la cui profondità era di due metri, cosi pure per il diametro. Sul fondo della buca, venivano accese alcune fascine di legna secca. Su questo venivano aggiunti de ciocchi di erica fino a formare un cumulo di circa 80 cm. al di sopra della buca. Questo monticello Veniva coperto, come in una carbonaia, prima con rami, poi con terra già cotta in precedenti operazioni, formando cosi una coperture trasformando la buca in forno per la distillazione a secco dei ciocchi che venivano trasformati in  carbone.



ll carbonaio seguiva l’operazione praticando dei fori nello strato di copertura, curando che il fuoco non si estinguesse, ma allo stesso tempo, che non arrivasse troppo ossigeno da far bruciare i ciocchi. Alla fine del trattamento, si otteneva uno Speciale carbone che, per l’alta percentuale di silicio contenuto nel ciocco, permetteva di raggiungere alte temperature.



 



Gino Brambilla




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